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Decenni di sfrenata corsa alla cementificazione hanno ormai portato il nostro Paese ad una situazione di dissesto idrogeologico ormai conclamato che, abbinato ai cambiamenti climatici in atto, sta portando a sempre più frequenti inondazioni e a conseguenti fenomeni franosi. Per avere un’idea “visiva” della portata del fenomeno basti osservare la mappa raffigurata sotto (fonte: elaborazione Centro Documentazione Anci-Ifel su dati Ministero dell’Ambiente – UPI, 2003 ed Istat, 2012), in base alla quale oltre il 70% del nostro territorio è a rischio. Secondo questi studi ci sono addirittura tre regioni (Valle d’Aosta, Umbria e Calabria) la cui totalità dei comuni è interessata dal fenomeno.
Secondo Legambiente risulta invece che addirittura oltre l’80% dei comuni della penisola sono a rischio, con l’8% della popolazione esposta alla possibilità di frane e alluvioni; questo stesso Ente calcola solo negli ultimi quattro anni un totale di 138 vittime in 80 comuni interessati da 112 eventi metereologici “importanti” (tra allagamenti, frane, trombe d’aria ed esondazioni fluviali con conseguenti danni ad infrastrutture pubbliche e private e al patrimonio culturale e storico Italiano).
Tutto ciò è dovuto, come detto, alla concomitanza di cambiamenti climatici e alla cementificazione non regolamentata del territorio. La principale accusa alla cementificazione è dovuta ad un semplice principio di facile comprensione: laddove il terreno “nudo” viene occupato e sostituito da infrastrutture e costruzioni lo stesso terreno non è più in grado di ricevere ed assorbire le precipitazioni che su esso insistono, con conseguente deflusso di tali acque su altre porzioni di suolo (le quali a loro volta vengono ad essere quindi “congestionate” da un eccesso di afflusso che non riescono a “ricevere”) o (come avviene più frequentemente) in condotte di drenaggio che recapitano direttamente al corpo recettore la totalità delle precipitazioni. Da ciò ne conseguono i classici fenomeni che causano alluvioni e frane: ingrossamento dei corsi d’acqua, saturazione repentina dei terreni in prossimità delle aree cementificate e di alcune falde idriche (mentre altre vengono contemporaneamente a deperire).
La soluzione più immediata a questa problematica è ovviamente quella della creazione di “vasche di laminazione”, che (se ben dimensionate e di capacità adeguata) provvedono ad accumulare le acque che precipitano su aree artificialmente impermeabilizzate in occasione di eventi meteorici, per poi successivamente “rilasciarle” con portata adeguata una volta che l’evento meteorico si è esaurito, al fine di “tamponare” il fenomeno appena illustrato. Nella maggior parte dei casi tale “rilascio” avviene mediante delle pompe opportunamente dimensionate per il caso specifico e installate all’interno degli invasi. Ovviamente risulta subito evidente come tale rimedio richieda spesso volumi molto alti ma nei casi di aree più contenute risulta molto conveniente da un punto di vista economico adottare vasche prefabbricate (magari accoppiandone più di una) per venire incontro a tali esigenze. In ogni caso lo Studio di Progettazione che collabora con noi è a disposizione per un consulto al fine di adottare la soluzione più adeguata al caso specifico che deve affrontare il cliente.
Per quanto riguarda la situazione normativa e amministrativa, lo stanziamento di fondi e la formulazione legislativa Italiana si stanno muovendo in tal senso, specialmente negli ultimi anni a seguito dell’aumento di eventi che sempre più spesso assumono caratteri drammatici, basti pensare delle due alluvioni che recentemente hanno colpito Genova a breve distanza di tempo l’una dall’altra. Tra le regioni più sensibili al fenomeno ci sono ad esempio le Marche mentre tra i comuni sembra essere particolarmente attivo quello di Trento. E’ in costante aumento l’entrata in vigore di specifiche norme tecniche elaborate dalle Autorità di Bacino Distrettuali e sempre più Enti stanno inserendo la problematica in questione tra le loro priorità nei rispettivi regolamenti urbanistici anche con l’adozione di Piani Stralcio di distretto per l’assetto idrografico (PAI).
Non ci soffermiamo qui con approfondimenti di carattere tecnico, che riguardano essenzialmente il cosiddetto “principio dell’invarianza idraulica”, che consiste essenzialmente nella trasformazione di un’area da verde a urbanizzata in modo da non portare però all’aumento della portata di piena delle acque meteoriche di dilavamento delle superfici in questione da recapitare al corpo idrico recettore. Tale aumento, come accennato, è la diretta conseguenza della sostituzione di zone permeabili con coperture e pavimentazioni impermeabili alle infiltrazioni di acqua nel terreno su cui insistono. Basti qui accennare al fatto che i volumi di acqua da accumulare nelle vasche di laminazione devono essere calcolati in base alla durata della pioggia tenendo opportunamente conto di adeguati tempi di ritorno (fino a 50 anni).
Ovviamente risulta una certa esigenza di pulizia degli invasi di laminazione: secondo un rapporto dell’EPA statunitense ad esempio, gli invasi dovrebbero essere ispezionati almeno una volta l’anno. Solitamente la problematica è molto simile a quella riguardante gli invasi adibiti alla raccolta delle acque di prima pioggia, cui si rimanda alla specifica sezione.
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