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In questa sede presentiamo i nostri depuratori biologici a biomassa sospesa progettati specificatamente per il trattamento di acque reflue domestiche e assimilate scaricate da centri residenziali, insediamenti urbani, ristoranti, alberghi, villaggi turistici, fabbriche, campeggi, ospedali, cantieri, centri commerciali, ecc…
Per gli impianti di minore potenzialità e taglia (che vengono impiegati per la depurazione di insediamenti isolati quali case e ville, tipicamente fino a 40-50 abitanti equivalenti) si ritengono più appropriati i depuratori biologici a biomassa adesa (filtri percolatori) descritti nella relativa sezione alla quale si rimanda. Analogamente per gli impianti impiegati per la depurazione delle acque reflue industriali totalmente o in parte biodegradabili (come quelle scaricate da aziende operanti nel settore agroalimentare, come ad esempio cantine, caseifici, salumifici, conservifici, mattatoi, allevamenti, ecc...) per le quali si ritengono più appropriati gli impianti ad uso più specifico descritti nelle sezioni relative al trattamento degli scarichi aziendali.
CARATTERISTICHE GENERALI
Per definizione la categoria dei depuratori biologici a biomassa sospesa comprende tutti gli impianti operanti secondo lo schema tradizionale a fanghi attivi e le sue varianti.
Attualmente i depuratori a fanghi attivi che si trovano sul mercato sono nella quasi totalità composti esclusivamente da un bacino di ossidazione biologica in combinazione con un bacino di sedimentazione secondaria, non prevedono pertanto una linea di trattamento del fango di supero e rientra nella categoria degli impianti “ad ossidazione totale” che (secondo una convinzione consolidata ma sbagliata) non producono fango di supero. È stato invece dimostrato che (anche operando in condizioni di bassissimo carico inquinante) si verifica sempre una produzione di fango che in ogni caso deve essere rimosso ed allontanato per mantenere costante la concentrazione dei solidi sospesi nel bacino di ossidazione. Un depuratore di questo tipo può funzionare (peraltro male) solo se viene spurgato molto frequentemente, con conseguente smaltimento di ingenti volumi di fango (o meglio di miscela aerata, in quanto il prelievo può avvenire soltanto nel bacino di ossidazione). Fango che risulta peraltro non stabilizzato e pertanto non conferibile in discarica. Ne conseguono sia un processo malfunzionante (dovuto ad una scarsa efficienza del sedimentatore secondario) che dei costi normalmente inaccettabili.
I depuratori di nostra produzione sono invece costituiti da un “modulo base” (comprendente per l’appunto il bacino di ossidazione biologica e quello di sedimentazione secondaria) cui viene abbinato un bacino di digestione e ispessimento del fango biologico di supero (“impianti a schema semplificato”) oppure un bacino di bilanciamento idraulico e ad una fossa Imhoff (con funzione di sedimentatore primario e digestore/ispessitore del fango di supero) negli “impianti a schema tradizionale”. L’aggiunta di altri moduli (come ad esempio il bacino di denitrificazione) consente di realizzare tutte le possibili varianti fra cui lo schema nitro-denitro.
Tutto ciò al fine di rispondere alla situazione normativa che regolamenta gli scarichi civili e alla difficoltà intrinseca della loro depurazione.
NORMATIVE
La Parte terza del D.Lgs. n. 152/2006 (art. 74, comma 1) definisce le “acque reflue domestiche” come le acque provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche. L’art. 101 comma 7 dello stesso stabilisce invece i criteri di “assimilazione” alle acque reflue domestiche delle acque di scarico provenienti da attività produttive, criteri successivamente riconsiderati dal D.P.R. n. 227/2011 concernente la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale. In base all’art. 2 comma 1 di tale decreto sono assimilabili alle acque reflue domestiche:
In base dell’art. 2 comma 2 dello stesso decreto, i criteri di assimilazione sopra esposti si applicano in assenza della disciplina regionale che doveva essere emanata in ottemperanza alle disposizioni dall’art. 101 comma 7 lett. e) della Parte terza del D.Lgs. n. 152/2006 che delegavano alle Regioni l’indicazione delle caratteristiche qualitative equivalenti alle acque reflue domestiche. Nel caso ad esempio della Regione Umbria, con la Deliberazione 24 aprile 2012, n. 424, sono state introdotte integralmente nella Direttiva Tecnica Regionale le disposizioni del D.P.R. n. 227/2011. È presumibile che anche le altre Regioni abbiano seguito o seguiranno l’esempio della Regione Umbria.
Accertati i criteri di assimilabilità, esaminiamo brevemente le norme nazionale e regionali che disciplinano gli scarichi delle acque reflue domestiche e assimilate.
Scarico in rete fognaria
In base all’art. 107 comma 2 della Parte terza del D.Lgs. n. 152/2006, gli scarichi delle acque reflue domestiche (e assimilate) che recapitano in reti fognarie sono sempre ammessi purché osservino i regolamenti emanati dal soggetto gestore del servizio idrico integrato ed approvati dalla Autorità d’ambito competente. Secondo il comma 1 dello stesso articolo, gli scarichi che non soddisfano i criteri di assimilazione devono essere considerati acque reflue industriali e quindi devono sottostare ai limiti di emissione adottati dalla Autorità di ambito che (a meno di particolari eccezioni introdotte dalle norme regionali) coincidono con i valori della tabella 3 dell’allegato 5 alla Parte terza del D.Lgs. n. 152/2006 relativamente agli scarichi in fognatura.
Scarico in corpo idrico superficiale e sul suolo
Gli scarichi delle acque reflue domestiche (e assimilate) provenienti da insediamenti, installazioni o edifici non allacciati alla pubblica fognatura sono regolamentati dall’’art. 100 comma 3 della Parte terza del D.Lgs. n. 152/2006. Esso impone l’obbligo del trattamento delle acque di scarico mediante sistemi individuali o altri sistemi pubblici o privati adeguati individuati dalle Regioni.
La tendenza attuale delle Regioni in materia fa riferimento alla già richiamata Direttiva della regione Umbria. La tabella 11 della norma caratterizza i sistemi di trattamento delle acque reflue domestiche derivanti da insediamenti, installazioni ed edifici isolati con recapito diverso dalla rete fognaria mentre la tabella 12 ne stabilisce i criteri applicativi. Nell’art. 10 si dispone l’obbligo del rispetto delle indicazioni fornite dalle tabelle 11 e 12 e dei limiti di emissione riportati dalla tabella 13: queste sono in linea con i valori per lo scarico in acque superficiali previsti dalla tabella 3 dell’allegato 5 alla Parte terza del D.Lgs. n. 152/2006. Tali limiti però non si applicano agli scarichi di acque reflue domestiche e assimilate derivanti da insediamenti di consistenza inferiore a 50 abitanti equivalenti: per questi sussiste soltanto l’obbligo generico del trattamento in conformità con le indicazioni date dalle tabelle 11 e 12.
Ove non assimilabili alle acque reflue domestiche, gli scarichi di attività produttive non allacciate alla pubblica fognatura sono regolamentati dal punto 1.2 dell’Allegato 5 alla Parte terza del D.Lgs. n. 152/2006 (scarico delle acque reflue industriali in corpo idrico superficiale) e dal punto 2 dello stesso allegato (scarico delle acque reflue industriali sul suolo). Questi obbligano al rispetto dei limiti previsti rispettivamente dalle tabelle 3 e 4 eventualmente modificati dalle Regioni. Resta ferma, nel caso di recapito sul suolo, la necessità della ammissibilità dello scarico ai sensi dell’art. 103 comma 1 lettera c) della Parte terza del D.Lgs. n. 152/2006 secondo il quale deve essere accertata l’impossibilità tecnica o l’eccessiva onerosità, a fronte dei benefici ambientali conseguibili, a recapitare in corpi idrici superficiali.
Riutilizzo e recupero
Il riutilizzo delle acque reflue è regolamentato dal Decreto del 2 maggio 2006 del Ministero dell’Ambiente con eccezione del riutilizzo di acque reflue presso il medesimo stabilimento che le ha prodotte che (presumibilmente) è demandato alle normative regionali. Secondo l’art. 3 del decreto, le acque reflue recuperate tramite adeguato trattamento possono essere destinate ad irrigazione di colture e aree a verde a meno delle limitazioni imposte dall’art. 14 secondo il quale è vietato il riutilizzo che comporta il contatto diretto delle acque reflue recuperate con prodotti che si possono consumare crudi o nell’irrigazione di aree verdi aperte al pubblico.
Altri riutilizzi delle acque reflue sono: per il lavaggio di strade e piazzali, per l’alimentazione di impianti di riscaldamento e raffreddamento, come scarico dei servizi igienici (ovviamente separata dalle acque potabili), per l’acqua di processo industriale) purché sia escluso il contatto con alimenti o i prodotti farmaceutici e cosmetici.
L’art. 4 del decreto stabilisce che le acque reflue destinate all’utilizzo irriguo o civile devono avere requisiti di qualità chimico-fisici e microbiologici almeno pari a quelli prescritti dalla tabella allegata al decreto i cui valori limite di emissione sono praticamente gli stessi della tabella 4 dell’allegato 5 alla Parte terza del D.Lgs n. 152/2006 relativi allo scarico sul suolo delle acque reflue industriali.
A solo titolo indicativo facciamo riferimento alla ancora una volta alla Direttiva della regione Umbria: secondo l’art. 23 l’utilizzo delle acque reflue domestiche a scopo irriguo è consentito solo se:
Anche i valori limite della tabella 6 della Direttiva ricalcano abbastanza fedelmente quelli della tabella 4 dell’allegato 5 alla Parte terza del D.Lgs n. 152/2006 relativi allo scarico sul suolo delle acque reflue industriali.
SCHEMI DI PROCESSO
I nostri depuratori biologici a fanghi attivi sono realizzati con l’impiego di vasche monoblocco prefabbricate in cemento armato vibrato. Le vasche (attrezzate a seconda della loro funzione nel ciclo depurativo) possono essere affiancate e accoppiate in maniera modulare per ottenere diverse configurazioni e consentono pertanto di realizzare tutti gli schemi di processo a fanghi attivi utilizzati.
Tali manufatti possono essere installati fuori terra o seminterrati oppure interrati a livello della condotta fognaria. Sulle coperture sono predisposte aperture dotate di chiusini in ghisa o cemento la cui posizione è studiata al fine di garantire agevolmente l’ispezione e le operazioni di manutenzione dell’impianto.
Inoltre tutti i nostri depuratori vengono progettati in conformità con le prescrizioni della UNI-EN 12255-6. Le capacità depurative e gli schemi di processo dei depuratori di uso più ricorrente sono specificati nella tabella.
Num. Di utenti (AE) |
Schema di processo |
Fino a 30-50* |
Schema con ricircolo fango a gravità |
50-150 |
Schema semplificato |
200-600 |
Schema tradizionale |
200-600 |
Schema nitro-denitro |
Oltre 600 |
Schema contatto-stabilizzazione |
* Per utenze fino a 30-40 AE sono disponibili anche gli impianti a filtro percolatore, trattati nell’apposita sezione
Depuratori con ricircolo del fango per gravità
I depuratori a fanghi attivi per piccole utenze (fino a 30-50 abitanti equivalenti) adottano lo schema con ricircolo del fango per gravità e sono realizzati con l’uso delle vasche monoblocco prefabbricate in cemento armato vibrato più piccole: queste sono suddivise, tramite un setto interno, in due comparti dove vengono ricavati i tre componenti dell’impianto: la fossa Imhoff, il bacino di ossidazione biologica e il sedimentatore secondario.
La fossa Imhoff viene solitamente realizzata tramite una parete metallica, sagomata in base ai dettami di Karl Imhoff, che separa il canale di sedimentazione primaria dal sottostante vano di accumulo e digestione anaerobica dei fanghi di supero (primario e secondario).
Il canale di sedimentazione immette nel bacino di ossidazione biologica. Qui avviene la biodegradazione delle materie organiche carboniose e dell’azoto ammoniacale mediante l’impiego dell’ossigeno fornito attraverso l’insufflazione di aria atmosferica da uno o più diffusori di profondità a bolle fini (solitamente del tipo a disco) alimentati da un compressore a canale laterale bistadio a basso consumo energetico. Nel bacino di ossidazione è presente una pompa sommersa per lo spurgo periodico del fango di supero che viene conferito al vano di accumulo e digestione della fossa Imhoff.
Il bacino di ossidazione è separato dal sedimentatore secondario da una parete che presenta un’apertura attraverso la quale si verifica il ricircolo del fango (per gravità).
La stessa soffiante alimenta anche un diffusore d’aria a bolle grosse (del tipo a tubo forato) posto davanti all’apertura di ricircolo per risucchiare il fango sedimentato. Il sedimentatore è poi attrezzato con un deflettore di flusso della miscela in ingresso dal bacino di ossidazione e con una canaletta di sfioro da cui esce la condotta di scarico dell’acqua depurata.
Questi impianti sono indicati per il trattamento degli scarichi di case e villette non allacciate alla fognatura nel caso in cui la sola fossa Imhoff seguita da una sub-irrigazione non sia possibile per mancanza di spazio o per la natura argillosa del terreno che non consentono la realizzazione di una trincea di dispersione sufficientemente drenante.
Il modulo base
I depuratori per utenze più consistenti (fino a 600 abitanti) sono realizzati con l’utilizzo di vasche monoblocco prefabbricate in cemento armato vibrato a pianta rettangolare abbinate fra di loro secondo diverse configurazioni (che dipendono dallo schema di processo dell’impianto).
Il modulo base è costituito da un bacino di ossidazione biologica (dotato di un sistema di aerazione) collegato al bacino di sedimentazione secondaria.
Solitamente il bacino di ossidazione biologica è equipaggiato con diffusori d’aria a bolle fini del tipo a disco posizionati “a tappeto” sul fondo e alimentati da un gruppo compressore che consta solitamente di due soffianti (una di riserva) ciascuna in grado di erogare la portata d’aria richiesta. Le due soffianti alimentano il circuito di distribuzione dell’aria mediante un collettore principale su cui è innestata anche l’alimentazione dell’air lift per l’estrazione del fango dal fondo del sedimentatore.
Operando secondo i parametri raccomandati dalla norma UNI-EN 12255-6, il bacino di ossidazione provvede a degradare le sostanze inquinanti sfruttando una flora batterica che attacca sia le materie organiche carboniose che l’ammoniaca tramite ossidazione biologica del carbonio presente nelle materie organiche (ad anidride carbonica) e dell’azoto ammoniacale (ad azoto nitrico) a spese dell’ossigeno contenuto nell’aria insufflata.
Tali microrganismi si organizzano in colonie batteriche (“fiocchi biologici”) tenuti in sospensione dall’aeratore, assimilano le sostanze inquinanti contenute nell’acqua e proliferano nei fiocchi biologici. Per tale motivo parte di essi (“fango biologico di supero”) devono essere periodicamente spurgati per mantenere costante la concentrazione dei solidi sospesi nel bacino.
Come avviene solitamente nei depuratori biologici di questo tipo il sedimentatore secondario è del tipo statico a flusso ascensionale. Questo è realizzato in un comparto quadrato (preferibilmente ricavato all’interno della stessa vasca che contiene anche l’ossidazione), presenta un fondo a tramoggia ed è equipaggiato con i dispositivi tipici dei sedimentatori a flusso ascensionale: condotta di immissione, deflettore cilindrico e canaletta di sfioro (in acciaio inossidabile). L’estrattore del fango sedimentato è costituito da una pompa o da un air lift. Quest’ultimo tipicamente viene alimentato dalle soffianti a servizio del bacino di ossidazione biologica e si attiva grazie a una valvola automatica ad apertura ad intermittenza (al fine di far funzionare l’air lift ad intervalli regolari per permettere al fango di sedimentare).
Così costruito, operando secondo buone norme progettuali, il sedimentatore secondario separa l’acqua dai fiocchi di fango presenti nella miscela che arriva dal bacino di ossidazione biologica. I fiocchi si depositano sul fondo a tramoggia per essere ricircolati in testa al bacino di ossidazione mentre l’acqua chiarificata fuoriesce dal bacino mediante sfioro dalla canaletta.
In assenza di una linea di trattamento del fango, un modulo base può operare solo se il fango biologico di supero viene spurgato dal bacino di ossidazione biologica in quanto la concentrazione dei solidi sospesi deve essere necessariamente contenuta per non inibirne la sedimentabilità. Operando in questo modo il fango prelevato è però molto diluito e quindi il depuratore necessita di spurghi frequenti conseguenti costi di smaltimento inaccettabili.
Lo schema semplificato
I depuratori a schema semplificato sono composti da un modulo base abbinato ad un bacino di accumulo, ispessimento e digestione anaerobica del fango supero, che, come detto, viene adottato per ridurre la frequenza di spurgo del fango.
Il bacino di accumulo del fango è alimentato da una diramazione innestata sulla tubazione di ricircolo del fango sedimentato: operando manualmente sulle apposite valvole si effettua lo spurgo a scapito del ricircolo.
Periodicamente, un campione di miscela di acqua e fango biologico deve essere prelevato dal bacino di ossidazione e fatto decantare per 30 minuti in un “cono Imhoff”: quando risulta evidente un eccesso di fango, occorre provvedere alle manovre per operare lo spurgo.
Quando il fango nel bacino di accumulo arriva ad un livello poco sotto la superficie libera il vano deve essere svuotato tramite autospurgo. Durante la sua permanenza qui, il fango viene “digerito” anaerobicamente e subisce un ulteriore ispessimento: quindi, al momento del prelievo, questo risulterà ben ispessito e stabilizzato.
Lo schema tradizionale
I depuratori a schema tradizionale presentano il modulo base abbinato ad un bacino di preaerazione e bilanciamento idraulico e ad una fossa Imhoff.
Il bacino di bilanciamento idraulico è equipaggiato con un circuito di aerazione di profondità e una pompa sommersa per rilancio dell’acqua. Di solito per l’aerazione vengono utilizzati diffusori d’aria a bolle grosse ed è alimentato da un compressore dedicato. La pompa di rilancio è collegata ad una tubazione di sollevamento che è buona norma presenti anche un ricircolo in vasca per la regolazione della portata (il ricircolo consente anche l’omogeneizzazione degli inquinanti). La mandata è realizzata in modo da poter scegliere di alimentare sia la fossa Imhoff che direttamente il bacino di ossidazione biologica.
La pompa alimenta l’impianto ad una portata costante (portata media di progetto) grazie ad una adeguata capacità di accumulo del bacino che funge quindi da “polmone”.
La fossa Imhoff consta di uno o due canali longitudinali di sedimentazione entro i quali la frazione sedimentabile dei solidi sospesi (“fango primario”) si separa per gravità depositandosi sul fondo del comparto di digestione, mentre l’acqua chiarificata si immette nel bacino di ossidazione.
La configurazione garantisce la massima elasticità di trattamento in quanto consente di rilanciare (in caso di bassi carichi inquinanti o in fase di avviamento) il refluo direttamente in ossidazione, by-passando quindi la sedimentazione primaria. La fossa Imhoff inoltre svolge anche la funzione di accumulo del fango biologico di supero (“fango secondario”). Il misto di fango primario e secondario accumulato va periodicamente prelevato tramite autospurgo: nell’intervallo fra due prelievi, viene digerito anaerobicamente e subisce un ulteriore ispessimento. Pertanto, all’atto del prelievo, risulta ampiamente ispessito e stabilizzato.
Lo schema nitro-denitro
I depuratori a schema nitro-denitro sono dotati, oltre ai componenti dei depuratori a schema tradizionale, di un modulo di denitrificazione costituito da un bacino non aerato equipaggiato con uno o più miscelatori sommersi. Inoltre, nel bacino di ossidazione è presente una pompa di ricircolo in testa al bacino di denitrificazione (che si aggiunge al fango proveniente dal bacino di sedimentazione secondaria).
L’inserimento del bacino di denitrificazione permette di realizzare due ambienti (uno anossico e l’altro aerobico) dove la miscela di acqua e fango viene continuamente e alternativamente a trovarsi per effetto del ricircolo. Tale alternanza di condizioni favorisce la proliferazione di microrganismi “aerobi facoltativi” che degradano sia le materie organiche carboniose che l’ammoniaca.
Ovviamente anche in questo processo si ha una costante proliferazione dei microorganismi con conseguente produzione di fango biologico di supero deve essere periodicamente spurgato operando come detto in precedenza.
Se necessaria, la rimozione del fosforo si effettuata con trattamento chimico-fisico iniettando nel comparto anossico una soluzione di cloruro ferrico: il precipitato risultante viene allontanato insieme al fango biologico di supero.
Operando in base ai parametri fissati dalla norma UNI-EN 12255-6, i depuratori a schema nitro-denitro sono altamente efficienti nel rimuovere sia le materie organiche carboniose che i composti organici azotati, per cui risultano particolarmente adatti al trattamento delle acque reflue domestiche o urbane da recapitare in corsi d’acqua in aree sensibili per le quali è prescritto un limite di emissione per la concentrazione dell’azoto totale altrimenti non raggiungibile senza un trattamento specifico.
Lo schema SBR
I depuratori a schema SBR (“Sequencing Batch Reactors”) constano di due reattori ciascuno dei quali è equipaggiato con diffusori d’aria a bolle fini alimentati da soffianti, miscelatore meccanico sommerso, pompa sommersa per lo spurgo del fango e pompa galleggiante per l’estrazione dell’acqua depurata. Tali reattori sono generalmente preceduti da un bacino di pre-aerazione e bilanciamento idraulico degli scarichi e affiancati ad un bacino di accumulo e digestione anaerobica del fango di supero.
I due reattori vanno fatti operare in parallelo eseguendo dei cicli giornalieri che eseguono le fasi di trattamento classici del trattamento nitro-denitro (con possibilità anche in questo caso di trattamento del fosforo).
Gli impianti a schema SBR sono in grado di rimuovere con alta efficienza sia le materie organiche carboniose che l’azoto (analogamente a quanto avviene nei depuratori a schema nitro-denitro).
Lo schema contatto-stabilizzazione
Nei depuratori a schema contatto-stabilizzazione il bacino di ossidazione biologica è suddiviso in due comparti, uno di contatto e l’altro di stabilizzazione (di capacità tripla rispetto al primo). Il comparto di contatto comunica con il sedimentatore secondario da cui si ricircola il fango nel comparto di stabilizzazione che a sua volta alimenta quello di contatto. In genere il bacino di sedimentazione è del tipo a “pacco lamellare”.
Nel comparto di contatto avviene la miscelazione fra il liquame “fresco” e i fiocchi biologici che catturano le sostanze sospese e quelle colloidali per poi biodegradarli nel comparto di stabilizzazione.
L’impianto opera con un tempo di permanenza e delle concentrazioni di solidi sospesi molto maggiori nel bacino di stabilizzazione rispetto a quello di contatto. Ciò permette di operare (a parità di condizioni) con volumi d’impianto circa 3 volte inferiori a quelli tradizionali.
Lo schema MBR
Nei depuratori a MBR (“Membrane Biological Reactor”) il bacino di sedimentazione secondaria è sostituito da un modulo di filtrazione a membrana (“ultafiltrazione”) nella funzione di separazione fra l’acqua depurata e i fiocchi di fango biologico. Il modulo è immerso in una vasca posizionata a valle e attrezzata con particolari aeratori a bolle fini. L’impianto viene integrato con una unità di trattamento chimico-fisico e disidratazione del fango biologico di supero.
Il modulo di ultrafiltrazione in genere è composto da una serie di elementi a membrana tubolare o piana collegati ad una pompa di aspirazione che induce il passaggio dell’acqua attraverso le membrane. La tubazione di mandata della pompa di aspirazione viene collegata alla condotta di scarico. Ovviamente le membrane tendono progressivamente a sporcarsi arrivando a completo intasamento. Per ovviare a tale inconveniente il modulo è dotato di un circuito tubolare forato attraverso il quale viene insufflata una corrente d’aria a bolle grosse che investe le superfici esterne delle membrane allontanando i fiocchi di fango. Tale accorgimento non può tuttavia eliminare completamente l’intasamento per cui periodicamente le membrane esse devono essere sottoposte a un lavaggio con acqua pulita. Per questo motivo il modulo è dotato di un circuito di controlavaggio con apposita pompa. Tuttavia tale operazione non è in grado di ripristinare perfettamente la capacità di filtrazione per cui si instaura un graduale e irreversibile intasamento che comporta un ricambio periodico delle membrane.
Se da un lato abbiamo qui il vantaggio di poter operare ad alte concentrazioni di solidi sospesi (con conseguente riduzione dei volumi dei reattori) si riscontra lo svantaggio dovuto agli elevati costi di installazione e manutenzione dei moduli filtranti.
COSTRUZIONE E INSTALLAZIONE DEGLI IMPIANTI
Indipendentemente dal processo, tutti i depuratori biologici a fanghi attivi di nostra produzione vengono completamente costruiti e assemblati in stabilimento. Pertanto i bacini vengono allestiti e dotati di tutta la componentistica interna (diffusori d’aria, pompe, miscelatori, fossa Imhoff, attrezzatura del sedimentatore secondario) compresi gli innesti alle condotte di entrata/uscita e di collegamento fra le vasche.
Una volta realizzate tutte le vasche monoblocco prefabbricate in cemento armato vibrato che compongono la struttura di contenimento del depuratore e gli elementi di copertura viene effettuato l’allestimento, completato il quale i vari elementi possono essere trasportati in cantiere, dove deve essere preventivamente eseguito lo scavo sul cui fondo è predisposto il piano di posa. Questo è costituito da uno strato di sabbia che ricopre (ove necessario) un magrone o un massetto di cemento armato (a seconda della consistenza del terreno). Una volta posate le vasche (mediante una gru di portata adeguata), vengono realizzati i collegamenti idraulici ed elettrici e viene effettuato il rinterro. In genere l’installazione di un impianto richiede in cantiere pochi giorni di lavoro, contrariamente alla loro realizzazione in opera.
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